In questo periodo a Torino – dove il nostro studio legale conserva tuttora il proprio cuore operativo – il futuro del mercato dell’auto e del settore automotive è al centro del dibattito e delle preoccupazioni di molti imprenditori e lavoratori.
Qualche settimana fa un’intervista a Bernardo Bertoldi, professore al Dipartimento di Management dell’Università di Torino, titolava: Torino non è più capitale dell’auto. La città ritrovi una sua identità1. E alcuni dati recentissimi e allarmanti sono ben riportati nell’articolo di Filomena Greco su Il Sole 24 Ore del 30 ottobre scorso: Auto, anno nero per l’indotto, fatturati in calo per il 55%, un terzo taglia l’occupazione. I dati dell’Osservatorio di Anfia e Cdc Torino2. Per non parlare della notizia di pochi giorni fa delle dimissioni di Carlos Tavares da CEO di Stellantis, con tutte le polemiche che ne sono seguite e con vasta eco sui media.
Ne ho parlato con l’ing. Alessandro Mortali, a capo di EMC-Executive Management Consulting3, con oltre 20 anni di esperienza manageriale presso aziende multinazionali leader nel settore automotive quali Valeo, Sumitomo Corporation, Arvin Industries, Meritor Inc. e CNH/Iveco. Ne è nata una riflessione a tutto campo, con spunti molto interessanti, anche per noi che ci occupiamo di assistenza legale in questo ambito.
- Ing. Mortali, la vostra società si occupa di consulenza strategica e di sviluppo industriale e commerciale, in aziende multinazionali e in un contesto internazionale, con una particolare esperienza in ambito automotive. Qual è lo stato attuale di questo settore di mercato?
Il settore automotive sta attraversando ormai da un paio di anni una situazione molto difficile. In Europa i volumi di produzione dopo il periodo COVID non si sono più ripresi; oggi registriamo un calo del -20% circa, rispetto ad allora. Inoltre, gli investimenti molto onerosi per lo sviluppo delle vetture EV hanno generato un’enorme pressione sui prezzi dei componenti della sub-fornitura, che ad oggi è in grande crisi con una forte spinta dei costruttori a delocalizzare le produzioni fuori dall’Europa.
Tutto questo chiaramente sta portando il settore dell’auto a una crisi senza precedenti, anche perché oggi abbiamo aperto la porta alle aziende cinesi, che hanno costi del lavoro, dell’energia, del capitale e aziendali assolutamente insostenibili per un’impresa localizzata in Europa.
Purtroppo i nostri politici si sono dimenticati che l’automotive vale, in generale, circa il 7% del PIL della Comunità Europea. E dà lavoro a oltre 12,9 milioni di persone. Si tratta di un settore che genera un gettito fiscale di 392,2 Bil € in tasse per gli Stati membri e quindi una sua crisi irreversibile sarà molto difficile da recuperare.
- Vengo subito al problema più spinoso. L’automotive è certamente uno dei settori più colpiti dalla transizione ecologica; il passaggio all’elettrico è la soluzione giusta?
Personalmente non credo che ci sia una sola soluzione tecnica da seguire, inoltre lascerei che sia il mercato – e cioè i clienti – a decidere quale veicolo scegliere, senza imposizioni ideologiche che ci stanno portando in una situazione di non ritorno.
Così com’è stata pensata, la transizione energetica non è realistica e soprattutto non è praticabile in tempi brevi, anche perché non abbiamo a disposizione tutta l’energia elettrica necessaria. Sicuramente la classe politica potrebbe – e dovrebbe – indirizzare le scelte dei clienti verso una sostenibilità energetica, per esempio riducendo le tasse automobilistiche a chi utilizza le vetture EV, ma sempre rispettando la libertà di scegliere le vetture.
Un’ulteriore assurdità sono i finanziamenti all’acquisto delle vetture EV, che vengono erogati con denari dei contribuenti europei per acquistare vetture EV prodotte fuori dall’UE. Trovo questa misura inaccettabile e irrazionale perché, oltre a sprecare denaro che non creerà lavoro o ricchezza in Europa, ha generato distorsioni del mercato dell’auto invogliando i concorrenti extraeuropei ad aggredire quello europeo.
- Più in generale come valuta, dal punto di vista industriale e strategico, le attuali politiche ambientali riguardanti il settore automotive?
Come ho già detto sopra, sono politiche pensate male e applicate ancora peggio. Richiedono una pesante e urgente revisione che dovrà anche andare a rivalutare gli accordi del WTO, soprattutto oggi con un mondo non più bipolare, per riequilibrare le capacità industriali dei vari continenti. Diversamente, temo che si realizzerà una desertificazione industriale in Europa e non solo per l’automobile. È quanto già avvenuto in USA nella rust belt, dove sono ben visibili i resti industriali di grandi fabbriche ormai abbandonate da anni, con perdite enormi di competenze e notevoli problemi sociali. Anche lì ora si stanno finalmente accorgendo che la loro dipendenza dalla Cina è cresciuta a dismisura e che tornare indietro è molto difficile.
- Veniamo alle realtà tipiche dell’industria italiana. A valle rispetto ai grandi colossi del mercato automobilistico, che spazio e che prospettive hanno oggi le imprese di medie dimensioni, quello che una volta si chiamava l’indotto?
L’indotto, che a Torino e nel nord Italia è sempre stato molto forte e competitivo, oggi vive una situazione drammatica. Ogni giorno sentiamo di fabbriche che chiudono e quello che sentiamo proviene da aziende che hanno un numero di dipendenti importante, ma dietro ce ne sono molte altre che non fanno notizia e che non hanno più la possibilità di competere.
È chiaro che, quando si ha a che fare con competitor stranieri che praticano prezzi inferiori anche del 20%, non c’è niente da fare. Sono scogli che non possono essere superati facendo appello alla nostra proverbiale “ingegnosità italiana” o alla “serietà subalpina”. Vedremo nei prossimi mesi, ma credo che assisteremo a molte chiusure e a un’enorme perdita di tecnologia che una volta era uno dei veri fiori all’occhiello del Piemonte. Hanno chiuso persino il famoso Centro Ricerche Fiat.
- Nella dimensione della media impresa uno degli aspetti più significativi che i manager devono sempre tener presente riguarda il rapporto con le persone: qual è lo stato attuale del mercato del lavoro?
Il mercato del lavoro oggi è complesso, in quanto molte professionalità sono difficili da trovare. Le persone non sono state formate negli ultimi anni e spesso bisogna accontentarsi di lavoratori che devono essere istruiti in azienda, sempre col rischio di perderli e di dover ricominciare tutto il processo. Inoltre, anche per le attività di base, abbiamo difficoltà a trovare giovani volenterosi e che siano disponibili a lavorare sui turni, in reparti non facili come lo stampaggio a caldo, che oggi è popolato principalmente da lavoratori stranieri.
L’ambiente di lavoro oggi è molto importante e la sicurezza deve sempre essere la prima cosa da garantire al lavoratore, così come un clima sereno e rispettoso delle persone. Questo deve essere alla base di ogni rapporto di lavoro.
- Nel rapporto con i lavoratori, cosa servirebbe davvero per coniugare le esigenze di efficienza e produttività – fondamentali per le imprese per poter essere competitive – e quelle di giustizia e tutela dei diritti delle persone?
La regolamentazione del lavoro mi pare piuttosto sbilanciata a favore dei lavoratori, quindi spesso efficienza e produttività diventano difficili da pretendere da parte delle aziende nei confronti dei dipendenti. La normativa è molto complessa e le aziende dell’automotive si vedono costrette a operare con lavoratori interinali; è l’unico modo rimasto per avere flessibilità, spesso a scapito della stabilità organizzativa e della competenza.
Io sono convinto che un sistema meno regolamentato e meno rigido – di certo compensato dal giusto riconoscimento economico per i lavoratori che siano capaci di stare al passo coi tempi – permetterebbe loro di avere una maggiore mobilità, quindi anche più facilità di re-ingresso in azienda qualora perdessero il lavoro. Questa enorme rigidità di sistema, unita ai tempi lunghissimi della giustizia e della burocrazia, sono alcuni dei motivi che fanno sì che molte multinazionali scelgano di non localizzare attività in Italia. Come diceva Marchionne, «si muore di diritti».
- Che tipo di assistenza richiedono, oggi, le imprese del settore automotive a noi professionisti dei servizi legali?
Il professionista legale, per seguire aziende automotive di medie dimensioni che non hanno un servizio legale interno, ha bisogno di poter coprire vari ambiti e aspetti legali del business: giuslavoristico, civile, penale e relativo alla sicurezza, magari anche societario. Spesso tutte queste competenze difficili da trovare in un unico professionista, per cui credo che sia fondamentale avere un legale di riferimento e di fiducia con il quale avere un dialogo aperto e che possa indirizzare poi ai vari specialisti.
Ritengo che realtà come lo Studio Legale DFM, dove vengono coperte le varie aree legali, siano la migliore soluzione per coniugare fiducia, efficienza, competenza e quindi accompagnare le aziende attraverso le traversie che possono delinearsi. Capita che l’imprenditore pensi di risolverle in modo amichevole e senza nessun supporto legale, per poi accorgersi di dover gestire situazioni molto complesse con l’ausilio di consulente, spesso troppo tardi.