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Patti tra coniugi in previsione della crisi matrimoniale 

5 Settembre 2025

a cura dell’Avvocata Martina Giorgi

La recente sentenza della Corte di cassazione n. 20415 del 21 luglio 2025 ha riacceso l’attenzione sul tema, ormai sempre più attuale, della validità dei patti stipulati tra coniugi in previsione di una possibile crisi matrimoniale. 

In tale occasione, la Suprema Corte ha riconosciuto la legittimità di una scrittura privata sottoscritta dai coniugi prima della separazione, nella quale il marito prendeva atto del contributo economico prestato dalla moglie alla ristrutturazione della casa familiare e alle altre spese comuni, impegnandosi a corrisponderle una determinata somma in caso di separazione. 

La pronuncia in esame si inserisce all’interno di un più ampio orientamento giurisprudenziale che ha progressivamente ampliato lo spazio riconosciuto all’autonomia negoziale dei coniugi, anche nelle fasi più delicate della vita familiare, quali la separazione e il divorzio. Ci si interroga, allora, sulla legittimità e sull’efficacia degli accordi – patrimoniali e non solo – stipulati in vista della possibile rottura del vincolo coniugale. 

Tra legge e autonomia privata: il ruolo del legislatore

Del resto, il legislatore ha già da tempo riconosciuto un ruolo centrale all’iniziativa privata nella gestione della crisi coniugale. L’articolo 4 della legge sul divorzio (n. 898/1970), così come il decreto-legge n. 132 del 2014, convertito nella legge n. 162 dello stesso anno, hanno introdotto strumenti che consentono ai coniugi di definire consensualmente le conseguenze della fine del matrimonio, anche attraverso percorsi alternativi alla giurisdizione ordinaria, come la negoziazione assistita e gli accordi innanzi all’ufficiale di stato civile. Tuttavia, è proprio la questione della validità dei patti stipulati prima del verificarsi della crisi coniugale – e subordinati a tale evento – ad aver suscitato per lungo tempo perplessità interpretative.

Dalla nullità alla legittimità: il lento cambio di rotta della giurisprudenza

Tradizionalmente, tali accordi venivano considerati nulli poiché affetti da una causa illecita, ritenuta contraria all’ordine pubblico e al buon costume. Tale impostazione rifletteva una concezione che attribuiva preminenza all’interesse superiore, unitario e trascendente della famiglia, rispetto agli interessi individuali – pur connessi e coordinati – dei singoli componenti. In particolare, si riteneva nulla ogni pattuizione che incidesse su diritti indisponibili, come l’assegno divorzile, la cui funzione “solidale” veniva considerata sottratta alla libera disponibilità delle parti. Il timore sotteso a tale impostazione era che simili accordi potessero tradursi in strumenti elusivi delle norme imperative1, comprimendo indebitamente la libertà di autodeterminazione dei coniugi nel giudizio di separazione o divorzio.

Un primo segnale di apertura è arrivato con la sentenza n. 8109 del 2000, nella quale la Corte ha riconosciuto la validità di un accordo stipulato per regolare controversie di natura patrimoniale insorte durante la convivenza, ritenendolo privo di finalità elusive rispetto al futuro assetto dei rapporti economici tra i coniugi conseguenti all’eventuale pronuncia di divorzio. A partire da quel momento, la giurisprudenza ha progressivamente maturato una diversa sensibilità, spostando il baricentro dall’astratta tutela dell’unità familiare alla concreta valorizzazione degli interessi e delle scelte individuali dei coniugi. Tale cambio di prospettiva ha trovato piena espressione nella sentenza n. 23713 del 2012, in cui la Corte ha affermato la validità degli accordi stipulati in previsione di una futura crisi del matrimonio, qualificandoli come contratti atipici, volti a realizzare interessi meritevoli di tutela, sottoposti ad una condizione sospensiva lecita. La crisi coniugale non viene più considerata la causa genetica (ed illecita) dell’accordo, bensì un mero evento futuro e incerto che ne condiziona l’efficacia. 

Negli anni successivi, la Corte di cassazione ha progressivamente consolidato questa nuova impostazione, tanto che – oggi – persino aspetti di natura personale, come l’affidamento dei figli o le modalità di visita, possono costituire oggetto di intesa, a condizione che sia sempre garantito il superiore interesse del minore2

Tale lungo e complesso percorso giurisprudenziale ha posto le basi per la recente sentenza n. 20415 del 21 luglio 2025, la quale appare oggi come il punto di arrivo – chiaro e definitivo – di un orientamento ormai pacifico e consolidato. La Suprema Corte ha infatti, ancora una volta, ribadito che gli accordi stipulati tra coniugi in previsione di una futura crisi matrimoniale sono pienamente legittimi, in quanto contratti atipici sottoposti a condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale delle parti e finalizzati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela. Si tratta, dunque, di pattuizioni perfettamente lecite, purché rispettose dei limiti invalicabili imposti dall’ordinamento, con particolare riguardo alla tutela dei diritti indisponibili e dei minori di età. 

Assegno divorzile: tra funzione assistenziale e perequativo-compensativa

In questo contesto, particolare attenzione merita il tema dell’assegno divorzile, la cui funzione è stata oggetto di un’importante ricostruzione da parte della giurisprudenza. La svolta è avvenuta con la sentenza della Corte di cassazione n. 11504 del 2017 (nota come sentenza Grilli), che ha segnato l’abbandono del tradizionale criterio del “tenore di vita” come parametro per la quantificazione dell’assegno. Il matrimonio viene così reinterpretato non più come fonte di obbligazioni patrimoniali tendenzialmente perpetue, ma come un’unione fondata sull’autoresponsabilità individuale, e dunque suscettibile di essere sciolta senza conseguenze economiche automatiche. In questo nuovo assetto teorico3, avrebbe già potuto trovare spazio una valorizzazione più decisa dell’autonomia privata e, in particolare, una prima apertura alla validità dei patti prematrimoniali, quantomeno con riferimento alla dimensione economica dell’assegno.

Tuttavia, è stato solo a partire dalla celebre sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 che si è giunti ad una sistematizzazione più matura della materia, attraverso la distinzione tra due funzioni autonome dell’assegno: da un lato, la funzione assistenziale, finalizzata a garantire un adeguato sostegno economico al coniuge più debole; dall’altro, la funzione perequativo-compensativa, che tiene conto dei contributi prestati e dei sacrifici compiuti dai coniugi durante la vita matrimoniale, come la rinuncia ad opportunità lavorative o il ruolo svolto nella formazione del patrimonio comune. Questa distinzione non è solo concettuale, ma incide direttamente sulla disponibilità del diritto. Infatti, mentre la componente assistenziale dell’assegno è considerata indisponibile e non può formare oggetto di rinuncia preventiva, la componente perequativo-compensativa può essere legittimamente regolata dalle parti anche in via anticipata, valutando e quantificando eventuali contributi e rinunce anche prima del matrimonio o all’interno del regime di convivenza. 

Nuove prospettive: il cumulo della domanda di separazione e divorzio congiunti alla luce della riforma Cartabia

Come noto, la riforma Cartabia4, all’art. 473-bis.49 c.p.c., ha introdotto la possibilità di proporre contestualmente, nei giudizi contenziosi, le domande di separazione e divorzio, attraverso un unico ricorso

La questione più controversa, come già evidenziato e trattato in un nostro precedente articolo, ha riguardato la possibilità di cumulare le domande di separazione e divorzio anche nell’ambito di procedimenti congiunti (ossia consensuali), e non soltanto nei giudizi contenziosi. Dopo un iniziale contrasto interpretativo5, la svolta decisiva è giunta con l’ordinanza n. 28727 del 16 ottobre 2023, con la quale la Corte di cassazione ha riconosciuto l’ammissibilità del cumulo processuale anche nel procedimento consensuale.Questa estensione apre importanti riflessi anche sul piano degli accordi prematrimoniali, in quanto rafforza e valorizza ulteriormente l’autonomia negoziale dei coniugi, permettendo loro di definire in un’unica sede non solo la cessazione del vincolo coniugale, ma anche tutti gli aspetti patrimoniali e personali connessi alla crisi coniugale, secondo una logica di pianificazione preventiva e consapevole. 

Conclusioni: il nuovo volto negoziale della crisi coniugale

In definitiva, la giurisprudenza attuale riconosce validità ed efficacia agli accordi tra coniugi stipulati in previsione di una futura crisi matrimoniale, ritenendo lecita e compatibile con i principi dell’ordinamento la condizione sospensiva rappresentata dalla separazione o dal divorzio, a condizione che non siano lesi diritti indisponibili, che non vi siano rinunce generalizzate a tutele fondamentali e che le prestazioni risultino equilibrate. Si tratta di un’evoluzione significativa, che conferma come l’autonomia privata possa trovare spazio anche nelle fasi patologiche del rapporto coniugale, senza entrare in conflitto con i valori fondamentali della solidarietà familiare e della tutela dei soggetti più deboli. A tale evoluzione si accompagna l’intervento del legislatore che, pur non avendo ancora previsto una disciplina organica dei patti prematrimoniali, ha comunque favorito una progressiva apertura all’autonomia negoziale dei coniugi, soprattutto attraverso strumenti alternativi alla giurisdizione, come la negoziazione assistita e gli accordi dinanzi all’ufficiale di stato civile, e più recentemente attraverso il cumulo delle domande di separazione e divorzio, introdotto dalla riforma Cartabia. 

Se state valutando la possibilità di stipulare un patto con il coniuge o futuro coniuge – sia in vista del matrimonio, sia per regolare anticipatamente gli effetti di una eventuale crisi – è fondamentale conoscere i limiti imposti dalla legge e le tutele necessarie per garantire la validità e l’efficacia dell’accordo. Per questo, è sempre consigliabile rivolgersi ad un avvocato, che potrà guidarvi nella redazione di un accordo personalizzato, equilibrato e conforme all’ordinamento, tutelando al meglio i vostri interessi.

Note dell'articolo

1.

In particolare, si riteneva che tali accordi violassero il principio sancito dall’articolo 160 del Codice civile, che stabilisce l’inderogabilità dei diritti e dei doveri che derivano dal matrimonio e, più in generale, dall’inderogabilità degli status familiari, come lo status coniugale. 

2.

Ex multiis, Cass. civ. n. 19304/2013 ha riconosciuto la validità di un’obbligazione restitutoria derivante da un contratto di mutuo subordinata all’eventuale separazione personale dei coniugi; Cass. civ. n. 11012/2021 ha legittimato l’impegno economico assunto vita natural durante a favore dell’ex coniuge, configurandolo come un contratto di rendita vitalizia subordinato alla condizione sospensiva del divorzio; Cass. civ. n. 13366/2024 ha ribadito che i coniugi possono legittimamente derogare, attraverso patti specifici, alla regola generale della proporzionalità nella ripartizione delle spese familiari, purché ciò avvenga in modo consapevole e in un contesto di equilibrio tra le parti; e infine, Cass. civ. n. 18843/2024 ha delimitato il potere di intervento giudiziale sugli accordi stipulati a latere del divorzio, stabilendo che tali patti non possono essere modificati direttamente dal giudice, ma devono essere valutati nel più ampio contesto del giudizio di revisione economica dell’assegno divorzile.

3.

E non solo, “essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile”. Così Cass. civ. n. 11504/2017. 

4.

D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in vigore dal 28 febbraio 2023.

5.

Cfr. Trib. Milano, 5 maggio 2023, n. 3542, e Trib. Firenze, 15 maggio 2023, n. 4458.